[numero ventisette]: come togheter

meglio di ieri, peggio di domani.

6 tu

sei tu.
ne ho la certezza assoluta e inconfutabile.
sei tu.
tu hai una tua vita dentro le mie ossa e navighi felice sul mio ossigeno.
è al settimo giorno del mio inferno che verrò a prenderti, fatti trovare pronta perché voglio andare con te sulla luna, costruire la una casa e morire vicino a te.
sei tu.
aspettami come io ho aspettato te e mi darai forma e sostanza dentro i tuoi giorni.
dentro i miei giorni.
sei tu.

_

mai tornare indietro, neanche per prendere la rincorsa.

[numero 20-sei]: tsunami

mentre qui sta succedendo l'impossibile

[numero ventifour:] anche, anche

io mi innamoro anche degli alberi.

[numero vent-1:] futura

penso cose alle quali non credi.

[numero venti:] needs

rewind, record, play, pause, stop, fastforward.

[numero diciannove:] compiti per caso

oggi conto tutte le volte che non.

[numero diciotto:] previsioni del tempo

avremo altri nomi chiameremo nuovi numeri.

[numero diciassette:] 2+[2+2]/lvn

so vivere anche senza di me.

Sinfonia № 7 (Elogio del Rumore) [tecnica stereofonica #4]

L’infelicità e la felicità non esistono.

Crrrrrr…tttt t-t-t.

L’infelicità e la felicità [non] esistono.

Mmmmmmm. Ptttttttfffffffzzzzzzzrrrrrrrkkkkkkk. Shhhhhhh.

L’in-felicità e la felicità non [esi]s[t]sono.

Chhhhhh. _______!!!!!!!

Linfelicitaelafelicita.

Sa. Sccc. Csssssssss.

Linfafelicità: modi per vivere non infelici.

Load, run. Load, run. Load, run. Load, run.

Lo sai che… che.

C’era una volta. Un bambino che ha paura di morire correndo vicino la porta di casa.

Le sordità, i labiali. Alta frequenza non pervenuta. Diecimilioniincomoderatedacentomilaalmese.

Mid range, media scuola, media difesa, media capacità di sopravvivenza ai bordi dello sputo diddìo infestato da campagne e noia.

Case fatte di escrementi dei potenti.

Inininizia la fffeeeli…infeelicit…à.

Tschhhhhhhhh. Puc, puc, puc, puc, pumn, pumn, pumn, pumn.

Che fai? Che fai? Che fai?

(manca il soggetto che pone la questione in oggetto)

Possibile risposta is: [load, run] sai, quando mi registro e mi risento mi faccio schifo, però mi viene da ridere perché non mi serve più lo specchio.

Non mi serve più lo specchio.

Loooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooow frequency. 20, 30, 40 Hz.

Sequences, pattern, loops, high compression, brickwall, beatbox, noises make me happy.

«Maurù, ‘a mamma, scendi al supermercato e mi compri due etti di prosciutto cotto senza conservanti e con i soldini che ti rimangono ti compri della cioccolata»

Sì.

«Mi hai sentito? Quando non senti devi fare alzare il volume a chi ti parla. Gli dici “puoi ripetere per favore?”»

Mi isoleranno, mi picchieranno fino ad uccidermi, mi tortureranno.

Lascia che ridano di me, io so già che la felicità e l’infelicità non esistono.

Woosh [tecnica stereofonica #3]

Ho avuto un pezzo di carta in mano e ho pensato che tra le letterine maiuscole accanto ai numeri c’era scritta in codice la mia curiosità.

[Ti immagini lo perdo? Cioè un pezzo di carta da solo ti permette l’accesso a tutto. Per esempio, se devi comprare una cosa al negozio te lo chiedono perché hanno paura che possa succedere qualcosa.]

Era la prima volta che riuscivo a superare il metro e settanta di altezza senza fare nessuno sforzo.

[Sì alla fine ho dovuto fare così. Ok, c’è gente che alla fine ancora non sa cosa vuol dire (non che sia poi tutta sta cosa faraonica, eh) però ecco io, io mi sento emozionato davvero. Mi sento che non so niente. Cioè so le cose complicate, più che altro a forza di guardare documentari e disegni. E poi era anche ora, dai.]

Odoravo i movimenti del tempo scendere lenti nei miei occhi.

[Boh alla fine non mi pare manco vero che io tra cinque minuti non sarò qua. Nel senso che potrebbe succedere di tutto! Cazzo, te l’immagini? Alla fine è sempre cinquanta e cinquanta. Cinquanta che vivi e cinquanta che muori. No, no, ma vedi che ci penso anche ogni volta che salgo in macchina, o che ne so, salgo sulle scale a pulire i lampadari perché mia mamma ha le vertigini. È che visto da qua dentro è diverso perché è una cosa nuova nuova.]

Andavo sull’aria accanto alla luce seguendo con amore il suono.

[Eh. Ecco vedi, ci siamo. La gente qua fa scongiuri, le corna, controllano che i vicini hanno spento tutto, controllano se il segno della croce è fatto dal lato giusto perché se no porta male. Mi sembra anche male a dirgli che insomma io sono nuovo a queste cose. Mi viene da piangere. Però solo la sensazione, gli occhi gonfi gonfi e il cuore saturo di cose dentro. Non lo faccio perché sono troppo occupato a vedere cosa succede ora, e dopo ancora.]

Mi sono sentito infinitamente piccolo.

[È bellissimo. Lo stacco, dico. Lo stacco è bellissimo. Si vede tutto veloce veloce prima e poi piano piano. Non mi sento più niente: gambe, braccia, mente. Mi reggono solo gli occhi, la bocca è andata ed è aperta perché cerca altre parole da usare ma non ne trova. Incamero tutto, fotografo tutto, filmo tutto come posso, con le mani, con le orecchie, con le ascelle che mi sudano troppo. Però è semplicemente bellissimo. È l’uomo che ha fatto tutto con le unghie, con i disegni calcolati al micron, con il ferro modellato alla perfezione.]

Ho amato con violenza il colore della terra brulla e crespa urlare sotto di me.

[Poi è tutta un’altra storia. Ci si aggrappa all’asfalto. Nient’altro che questo. L’asfalto rimane fermo fermo a lasciarsi graffiare e martoriare.]

Sand [tecnica stereofonica #2]

l'originale si trova su Setteperuno.it




Avevo esattamente venti minuti ed è andata esattamente così: ho posato la borsa con la massima delicatezza possibile, mettendola con precisione ai piedi del letto e cercando di darle un’aria da “hey, no ascolta, io sono stata messa qua in maniera casuale, quindi è inutile che guardi me”.

[- 19]

Ho preso il telefono e ho chiamato per la n-esima volta il numero. Non mi ha risposto. “Il numero da lei chiamato ha smesso di riconoscerla”. Una volta il pavimento di questo posto doveva essere bellissimo e l’ho scoperto piangendoci sopra ma tutte le acque fredde dei bagni mi hanno sempre riportato velocemente dentro ai vestiti con la cravatta bene in vista.

[- 15]

Mi sono liberato di quel mezzo nodo che mi ostino a chiamare cravatta, della camicia, e ho sgombrato la strada al calore tra i miei nervi in superficie. Ho iniziato a montare ogni singolo pezzo a partire dal basso cercando di ricordarmi le risate dell’ultima volta che ho compiuto quei gesti. Ogni volta finisco di ricostruire pezzo per pezzo la parte della mia felicità che inizia con il sudore.

[- 11]

Sono stato fermo a entrare dentro i colori e dentro la forma, pensando e cercando una risposta agli eleganti e infiniti modi con cui la perfezione regala all’uomo questi attimi irripetibili nei quali affondare le mani in mezzo alle nuvole, in mezzo all’aria. Con cura ho trasformato il mio respiro in un notaio per i miei occhi e regalato alle scale che portano ai miei polmoni nuovi gradini.

[- 10]

C’è il tramonto, l’ultimo dell’estate e siamo rimasti solo noi al centro di questa stanza vuota.

[- 9]

Non sento più nemmeno il caldo, potrei stare delle ore così, fermo fermo.

[- 8]

I miei orologi hanno cessato di girare le loro braccia nello stesso istante.

[- 7]

Ho riaperto lentamente gli occhi lasciando che la luce filtrasse attraverso le mie ciglia accartocciate.

[- 6]

Sono riuscito a sentire per la prima volta il rumore del mare senza vederlo dal secondo piano.

[- 5]

Le mie parole hanno cessato di funzionare, di avere significato, di avere suoni, di avere bocca.

[- 4]

Di tutte e due le braccia solo le punte delle dieci dita rispondono alle mie nuove domande.

[- 3]

Di tutto il corpo solo la punta delle mie labbra forgiano domande alle mie nuove risposte.

[- 2]

Mi sono messo a contare gli ultimi suoni rimasti nell’aria e incollati alle pareti.

[- 1]

Il mio cuore ha iniziato a battere, a scalciare, a stringersi, a comprimersi, a espandersi. A vivere.

Primamattina [tecniche stereofonica #1]

di seguito il primo dei miei quattro scritti che usciranno ogni martedì di Ottobre 2009 su Setteperuno.it



Merda la sveglia. E piove pure, città di merda.

A volte, quando sono davanti allo specchio o seduto sul gabinetto, penso che vorrei essere su un’isola deserta a non fare niente. Ma niente niente davvero.

Che poi è quello che faccio anche ora, solo che invece delle palme e della sabbia, vedo i fili del tram e la gente sempre incazzata che si sfoga camminando. Tutti colpevoli di marciapied-icidio.

Oggi dovrei andare a fare quelle cazzo di fotografie, book promozionale si chiama. Un bel pornolibro per addetti ai lavori con il pallino della checca isterica, voi se volete potete educatamente chiamarli “stylers” o “trend setter” o con qualsiasi altro nome inglisc che fa molto coooooool an’ faaaaaaascion.

Mi secco mortalmente a sentirmi dire da un tizio con occhialetti costosi e chic espressioni tipo mettiti così, cioè più estroverso, meno teso, maggior brio, più moviments.

Guarda che se ti vedesse Ale ti direbbe direttamente che avere una cazzo di reflex su un treppiedi e quattro luci non fa di te un fotografo.

Sono venuto qua sei mesi fa e già (ancora) non ho fatto nulla di serio&concreto.

Serio&concreto, sono le parole preferite di mia mamma, ma anche di tuo papà, dei genitori di Nina, convinta che il mondo sia quadrato e della mamma di Paolo che dorme nella stanza accanto alla mia: si occupa di affari notturni poco legali che lasciano poco spazio a mattine da persone normali.

Serio&concreto e i loro sinonimi come produttivo, responsabile, ordinato, realizzato, maturo e “quandotidecidiatrovartiunlavoronormale” che è una frase estesa ma rende bene l’idea.

Io invece sono alternativo e la mia laurea in legge l’ho usata per scrivere lettere di presentazione sufficientemente convincenti a farmi prendere da una di quelle agenzie per la moda accusate di adescare minorenni anoressiche. Solo che io non sono minorenne, non sono donna e sono anche pesante.

Mi metto le mutande nere o blu? Boh, boxer: bohxer. Madonna, st’armadio non si capisce niente, che tanto gli “artisti dell’underwear” mi diranno che devo mettermi le loro cose perché quest’anno vanno molto i fiorellini hawaiiani.

In maniera chiara e concisa, senza molti giri di parole: io sono bello e non ho bisogno di specchi per dirmelo, i donnamoderna mi danno ragione.

Cioè non sono io a dire che sono bello, ma il sistema di ragionamento e di considerazione estetica della civiltà occidentale ha sentenziato che negli anni 2000 io appartengo al prototipo mentale de “l’uomo bello da morire” e di conseguenza posso fare “lavori” come il modello e il ragazzo immagine.

Il problema grosso è un insieme di problemi meno grossi. Sono bello, sì, ma ce ne sono altri più belli di me, più alti di me (che sono comunque alto), più qualsiasi cosa di me. Non conosco la gente “giusta” ma solo manichini incapaci di guardarmi senza trattenersi dal “maa quanto è perfect il tuo body!”. In pratica io sono un modello di serie zeta, di quelli che chiamano per fare foto in costume per farvi venire i sensi di colpa da pancetta informatica che non vi basteranno nemmeno due anni in Siberia per arrivare alla mia pancia da Ken, marito di Barbie.

Rido quando mi chiedono quanto prendo per una sera. (Mi prendono per puttana).

Rido quando mi invitano a cena e bevo a spese loro e poi scappo. (Mi sembra di essere Tyler Durden)

Rido quando Paolo mi dice che ha fatto più soldi di me rimanendo vestito e non infilandosi dei pezzi di stoffa con i fiorellini hawaiani.

Rido per il fatto che tutto quello che ho scritto sopra è una cosa di cui potevate fare a meno, ma che avete letto ugualmente.

Riderò ancora di più quando un bel giorno entrerò nel negozio di design sotto casa mia, sceglierò il divano più costoso che c’è, firmerò le carte per garantire che lo pagherò, lo trascinerò fin dentro casa, mi ci siederò con un foglio di carta e una penna e inizierò a scrivere una storia qualsiasi, di una persona qualsiasi, con delle invenzioni qualsiasi, il cui inizio qualsiasi mi verrà in mente di primamattina.

[numero sedici:] a/r

il mio cuore è una autostrada.

Sulla terra

Pensavo a me e a te e... e niente, poi sono tornato sulla terra.

Storia di due senza altro titolo

C'erano una volta due.
Non importa chi, erano due e questo, purtroppo per loro era fin troppo sufficiente, o meglio in-sufficiente, a giudicare dallo stato delle cose.
Ad un certo punto il tempo ha cominciato a correre, correre, correre come una specie di persona che partecipa a una maratona di New York ma vuole arrivare per prima in mezzo al mondo.
Anche senza vincere niente.
Ed è esattamente sul niente che questi due si sedevano sempre a parlare.
Qualcuno dei due forse fingeva, l'altro invece cercava di contare la sabbia o le stelle perché tanto era uguale.
Dopo tanto e tanto tempo, che stavolta andò più lento stavolta in maniera simile ai sogni, tutti e due cominciarono a piangere e fu la prima vera cosa che ebbero la forza di fare nello stesso preciso istante.
Piangevano nella tazza del latte la mattina, il calcio spariva e il latte non serviva più a niente.
Piangevano nella tazza del caffè che di colpo smetteva di essere extracomunitario.
Piangevano anche nella tazza del cesso mentre qualche barista contava i soldi dell'incasso.

Piangevano e basta perché ilmondovamalesiamodisperati
checcazzosiamodellemerdeambulanti
comepotròmaiviveresenzadite

checredevofossiilmioprincipeazzurroimmortale
einveceseiunostupido

cazzonedeficientenonabilitatoallaguida
diunapersonaintellettualmente

convincentemachesaviversiigustidellavitacomemechesonodelicata
enoncapisciniente.


La gente cercava sempre di capire come questi due fossero arrivati a quel punto e puntavano sul punto le loro dita laboriose, curiose.

Arrivarono a piangere anche dentro i messaggi del telefono e nelle email.
Allega file>pianto>invia messaggio.

Il sindaco era venuto a sapere della cosa.
Un'intera strada si era allagata a causa delle lacrime e correva voce che i soldi che erano stati donati per otturare le fogne si erano sciolti dato che la cartamoneta non era stata adeguatamente impastata con il cemento armato.

Il bassissimo portasciabola del paesello li chiamò e disse loro che dovevano usare il dialogo, le parole e fare delle scelte precise e oculate.
E sopratutto che non si poteva continuare ad andare in giro in stivali per colpa loro.

Così i due iniziarono a parlare e al posto delle lacrime spuntarono demonio, odio, ripicca e una folta schiera di:
iocazzolosapevochesarebbefinitacosìtel'avevodettounsaccodivolte
nonmihaimaivolutosentireora

siamomessimalissimomaiol'hosempresaputocheeriunammerda
echerimarraisemprecosìnoncresceraimai

quanteparolespesequantotempopersoebuttatoalvento
nellaconvinzionecheundomaniavremmotrasceso

questavitaeassiemeavremmopercorsoibianchilididellaconsapevolezza
etuinvecehairottotuttoseiundeficiente

unbuggiardomeskinomaledettoiostommaleadesso
pertuacolpatuacolpatuagrandissimacolpaesemprelabeatavergine

gliangelieisantichesenestannofottendodinoi
nontifulminanoall'istante
visto?orahounabuonascusaperessereveramente

unapersonadepressissimaemenefottodeglialtrichetanto
contosoloioebbastaeilmiodololoreche
nessunopuòcapireperddavvero.


La società vocabolari italiani fu allertata dalla gravità del fatto.
Veniva fatto uno scempio del lessico e i linguisti non riuscivano ad analizzare tutto il materiale che di giorno in giorno dai due scellerati.

Arrivò il giorno, tanto tempo dopo, che i due smisero di piangere, di parlare.
Iniziarono a vedere la vita come una merendina da mordere giorno per giorno, così, come viene con tutte le forze di cui si dispone, con ogni sistema per rimanere sempre a testa alta e continuare a camminare.
Come fa il tempo, dopo aver corso per tutti i kilometri lontano da casa.




Moti a (luogo)

ci sono delle sere con il sale sul tavolo e io con una certa attenzione riempio con ciascun granello una sorta di disegno uno scarabocchio astratto che ho addosso
mi manchi forte forte e quindi vado avanti perché tanto c'è sempre qualcuno che è messo peggio allora lo guardo e mi dico che in fondo io sto bene e ho tutto tutto quello che serve per andare avanti che chi sta peggio non ha
penso ai mesi e a come il sole cambia il colore quello suo e quello della mia testa e allora cerco sempre un modo una via un sistema per ricompattare sempre tutto fare come i gatti che hanno sette vite e cadono da alto alto senza farsi mai male che zoppicano un poco e poi in due giorni ritornano più soli di prima
quindi non lo so che fare allora apro qua e scrivo scrivo scrivo perché se non abitassi in un posto pieno di gente con le pistole e con meno salite correrei fino a levarmi il fiato però con il cellulare addosso così mi faccio venire a riprendere il ritorno non ce la faccio a farlo
sono sicurissimo che io me ne andrei al mercato della domenica mattina alle sei in punto mentre tutti dormono perché il sabato è il sabato e mi venderei tutti i vestiti tranne il bracciale in ferro con le sfere e in cambio mi prenderei a me di nuovo con meno nervi con meno fatica così posso stancarmi ancora fino allo stremo e dire vantarmi che a me piace morire di fatica e agire come i matti che poi cadono nel sonno e si svegliano domani
riprendo ad affaticare le parole e le faccio stancare fino a farle morire così libero spazio dalle ossa dalle vene da qualsiasi cosa si possa non importa cosa ma si possa
che poi non sono tutte le parole quelle che vorrei fare stancare ma solo due precise nette e sinusoidali: ti amo.

[numero quindici:] cinquanta e cinquanta

siamo come il sole a mezzogiorno.

Scelta multipla

Ho voglia di abbracciarti per sentire più vicino che posso i(l) cuori/e.

Tra oggi e domani

Le differenze tra oggi e domani si trovano tutte ferme immobili a ieri.

Per fare fuoco

Compro i tuoi malumori e li spezzo con le mani per quando arriverà l'inverno.

I sogni migliori

Ho pensato alle mie scarpe.
Ho pensato che ne ho avute per ogni periodo.

Quelle rosse e bianche per giocare a basket, quelle marroni con la scritta Puma e i chiodini per uscire la sera, quelle che facevano puzza di pipì di gatto.

Me le ero comprate perché erano costate poco, come qualsiasi cosa per vestirmi che compro per me.
Però facevano puzza e non le ho usate più.
L'altro giorno ho scoperto che mi entrano ancora.

Le avevo prese assieme a quelle bianche e rosse per giocare a basket, così avevo le scarpe per allenarmi sul campetto di cemento e quelle per giocare le partite che sembravano vere, nella palestra delle suore.

Le suore con la squadra in serie D.
Io giocavo in panchina e solo ogni tanto facevo serie da tre punti per zittire un po' l'ambiente.
Segnavo e poi tornavo in panchina.

Ho avuto anche scarpe di cui non me ne importava tanto ed erano sempre un po' così.
Inopportune.
Come quella volta che sono andato al matrimonio dei miei cugini di secondo grado di cui non me ne è mai fregato niente (dei cugini, non delle scarpe).
Io, la maglietta nera U.S.A. e le scarpe da tennis.

Poi ho smesso e sono cresciuto.
Ho smesso di romperle e me le faccio durare sempre qualche anno.

Così non ho più due scarpe ogni volta, ma giro sempre con due album ai piedi.

Ho smesso di vedere un paio di scarpe e mi sento sempre con due album di fotografie che uso per camminare.
Se potessi camminerei senza scarpe, così le cicatrici mi lascerebbero un ricordo sempre più profondo.
Mi diventerebbero i piedi neri, ma lavandoli farei cadere nel buco della doccia le cose più brutte lasciandomi splendere addosso i segni migliori.
I sogni migliori.



[numero quattordici:] pazienza

ogni limite ha una pazienza, sa?

rUmore

La verità è che il rumore fa paura perché è uguale all'aria e ai giorni fuori dalla finestra.

Ventenni di ventanni

Tra vent'anni saranno vent'anni che non mordo.

Si dice

Dice che gli psicofarmaci ultimamente facciano troppo uso della gente.

A vuoto

I miei complimenti sono assegni a vuoto che non riscuoti.

Distruzioni per l'uso

Prima di vivere si impara a morire.

Ci dovevo pensare prima.

Sì, prima di comportarmi male in tutti questi mesi.

[numero tredici:] acufène

le mie parole non funzionano più.

[numero do, dici(?)]

per me rifarei tutto da zero.

opanopono

E' che io al tempo non ci credo.
Io credo alle cose.

[numero undici:] ...

parlare soffoca troppo respiro al silenzio.

Pi Greco

Questo posto che tengo nascosto è l'insieme della legna che mi trattengo dal rompere a mani nude, dei muri che evito di sporcare con il sangue delle mie nocche, dei punti di sutura che evito di far sprecare ai nostri ospedali di merda.

E' l'insieme della mia testa che evito di far volare via dalle quattro ossa insignificanti che la reggono in piedi e di cui ho il rifiuto.

Bella vero?

E' la collezione delle volte che non vengo capito, che non vengo guardato, che non vengo percepito come vorrei perché ormai

scontato
conosciuto
risaputo
immaginato
previsto
pianificato

io non voglio essere così.

Non voglio essere così per te che credi che sono sempre pronto a farti la spalla comica su un palcoscenico di fallimenti che ti circondano e che non fai niente per toglierteli e bruciarli cogliendo sempre l'occasione per renderli costantemente i tuoi copioni preferiti da recitare per far ridere la gente di fronte.

Non voglio essere così per te che ti sei sempre aspettata da me qualcosa di grosso e che forse ancora oggi mi guardi con quello sguardo di pietà di chi ti ha deluso su un divanetto bianco o su una spiaggia in silenzio.
Ma sai dirmi dove sei in quei giorni di pioggia di agosto?

Non voglio essere così per te che a stento conosci il mio respiro e che hai sempre ottenuto quello che volevi, inclusa la tua presenza ingombrante e banale anche in cristallerie preziose che non dovevi nemmeno guardare.
Volevo solo dormirti addosso.

Non voglio essere così per te, un bambino, un deficiente da indovinare, a cui trovare sempre la soluzione perché incomprensibile come un rebus, forse un ricordo (uno dei più belli, questo lo so).
Una parte del tuo respiro la notte e dei tuoi movimenti del giorno.
Del tuo cuore.

Ma un ricordo è un ricordo, cosa vuoi che sia, maria maddalena?




E non sono così per me, che ancora una volta sono qua a reinventarmi, a darmi, a farmi un futuro da seguire davanti a sta vita bugiarda che mi ha già fatto vedere come gira e come respira.

Senza memoria saremmo immortali*

Siamo sempre uguali all'opposto di quello che vorremmo essere.

Come se le nostre sensazioni potessero avere la fortuna di essere compiute e magari anche vissute fino in fondo per una volta, evitando quella percezione di qualcosa per cui ci sarà sempre tempo.
Forse.
Un giorno.
Quando sarà il momento.

Ci sono notti che non ac-cadono mai.

Non è vero, sai?

Ci sono respiri, sogni, pianti, baci, brividi che hanno avuto la loro piccola parte di notte per accadere e per cadere.

La memoria li scambia ora per difetti, ora per nostalgie preziose e piene di ferite dolci come il miele.

La memoria porta con se l'enorme forza di cui ho paura.
La memoria mi parla di te.
Di te con me.

E' come un bacio di saliva e lasciva.
Un bacio di abbracci grandi per contenerti tutta.
Per tenerti tutta.



Ti tengo ferma tra il palmo della mano e lo sterno e sorrido mentre muoio ogni giorno un po'.



*Gesualdo Bufalino

Scatola

Forse non riesci a capirlo ma lentamente ti sto chiudendo in una scatola del mio piccolo cuore bastardo.

Ci sono molti modi

Ogni mio sguardo è un modo di amarti.
Di amarti in silenzio.
In silenzio, stavolta.

[numero dieci:] Presente indicativo (seconda plurale)

questa estate ci salverà le mani.

[numero nove:] Regalo

toglimi un anno di vita e incartalo.

numero 8

niente mi fa ridere come te.

Cuomburo

I calli e i buchi sulle mie mani sono carne del cuore che tenta di risalire al suo posto ogni volta che lo stendo sul tamburo.

numero se[tte)

tu sei una prova di resistenza.

Complici

Corpi complici che si complicano.

Leo è questo che siamo?

Paghiamo un dolcissimo prezzo alla natura.
In contante con qualche brandello marcio delle nostre piccole anime.

Un giorno tra le mani

Mi prendo cura delle mie vene, dei miei nervi, dei miei fianchi che sorridono ogni volta che li sfiori, della mia schiena che impara a tenere alta la mia testa.

Non ho tempo per prendermi cura delle piccole assenze quotidiane dalla mia pietra in mezzo allo sterno.

Non ho rancore ma mi ricordo che anche se si muore un po' ogni sera, domani dirò di avere un giorno tra le mani.

Ex-Change

Ma non l'hai ancora capito che quello che vince è sempre quello che quando cambiano le vite le guarda così come sono?

It's me who deciding

Ad ogni tremore corrisponderà un vuoto.
Ad ogni cedimento corrisponderà l'eco di parole precise e imperative.
Ad ogni goccia corrisponderà un passo in avanti.
Ad ogni parola corrisponderà la mia vita nelle mani e sul quaderno di un medico.
Ad ogni minuto corrisponderà un movimento.
Ad ogni tuffo sott'acqua corrisponderà un respiro.
Ho perso uno dei miei sensi di vita.
Cerco nel mio vuoto e trovo solo il dolore che ti ho urlato addosso.
Spingo giorno per giorno le ruote del tempo, dalla mattina alla sera.
Sconto una condanna con le tue parole e il tuo stato d'animo fioriti da una notte che vorrei cancellare dai tuoi occhi.

Respiro piano e vado a dormire presto perché ti cerco in ogni spazio della mia aria e in ogni piccola oscurità dei miei stupidi sogni infetti.

Respirare

è tempo di farlo in silenzio.

Piacere

Io non sono altro che un cumulo di errori a cui tagliare la matricola.

Ciao

Tra un ciao e un altro c'è una vita bellissima.

numero {[(...tu..)]} sei ([{..per me...}])

quando finirà? non lo sa nessuno.

numero cin/cin que

mi ferisci sopratutto quando hai ragione.

Caress

Lei si svegliava di colpo sentendo le bombe dei fuochi d'artificio e sembrava cercarlo ovunque: sotto i cuscini, dietro gli armadi e nei sorsi mandati giù con un bicchiere d'acqua.

La accarezzava sempre piano per non svegliarla e per farle sembrare che era tutto vero.
Era vero.
Era vero: la pioggia, il vento, oggi non sono uscita a fare la spesa, non mi va di studiare, mi fa un po' male la pancia, non so quando torno, stavo cucinando, stavo vivendo, stavo da sola e mi manchi.
Mi manchi quando penso che potresti non esserci più.

E lui correva costantemente lasciandosi dietro quel poco tempo che basta per innescare una patetica cascata di lacrime.
Forse cercava ancora il limite, l'adrenalina, la scossa di passare davanti a due vigili urbani addormentati e regalare loro quell'orgoglio perduto su un sedile a contare i buoni e i cattivi con l'autovelox.
Forse correva per tenerla a quella distanza minima che lo poteva rendere imprendibile, intoccabile dai mimanchi e dai tivorreiqui.

Vivevano di cicli, di ripetizioni, di copie dolorose.
Vivevano aspettando il momento buono per aspettare un momento buono in cui vivere ed essere senza più pretese.

Arbeit Macht Frei

Costruisco un campo di sterminio per me stesso.
Condanno ai lavori forzati le mie braccia rivolte verso verso di te e i miei occhi poggiati sui tuoi capelli prima di dormire.

Andrà via il mio colore, il sapore del mare e delle tue finestre aperte con luglio che passeggia sul balcone aspettando un bacio.
Scende già l'inverno come cenere sul mio capo a ricordarmi che devo tornare nel luogo dove l'unica legge da adorare è il silenzio che accompagna invecchiando il suono delle mie domande stanche.

C'è una nebbia fuori sagomata per il mio cuore, dove tu potrai entrare solo per una sola e ultima volta.
Oltre quel punto le palpebre chiuse somiglieranno a un gesto di morte per ogni centimetro del mio amore.

numero qua[ndo?]ttro

vorrei sempre che tu mi amassi.

Malati d'altro

L'unico modo che avevano per stare vicini era essere ognuno la malattia dell'altro.

Pronto soccorso

Le volte che vorrei che ci fossi sono uguali alle volte che vorrei che mi amassi ma tutti i giorni sono più duri della pietra al gusto di pianti da pronto soccorso.

numero t(r)e

ritrovare alcune abitudini mi mette ansia.

# 2

egocentrismo è avere paura di specchiarsi.

numero uh, no...

io non ho sentimenti, solo sensazioni.